Siti web e social network: attenzione agli accertamenti del Fisco

di Davide Emone | 7 gennaio 2020 | News

Se è vero che, come si suol dire, “essere famosi su Facebook è come essere ricchi al monopoli”, tuttavia non si può dire che i dati contenuti in pagine web e postati sui propri profili di social network siano privi di valore giuridico.

 

Ciò che si rinviene su internet, infatti, è una rappresentazione di fatti, atti, circostanze, informazioni, persone, dati che può costituire una prova ai fini – per ciò che qui si tratta – di accertamenti fiscali. Con la circolare n. 16/E del 2016, l’Agenzia delle Entrate ha invitato all’utilizzo delle fonti probatorie “aperte”, ossia non regolamentate, tra cui social network e pagine web, in aggiunta alle fonti specifiche di cui il Fisco si può normalmente avvalere (anagrafe tributaria, movimentazioni bancarie, ecc.).

 

Questo significa che l’Agenzia delle Entrate può spiare i nostri profili Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, e così via, al fine di emettere un avviso di accertamento? Non è il caso di diffondere “allarmismi”: a differenza dell’ordinamento francese, ove è stata introdotta una norma che consente al Fisco – in via massiva – la raccolta di dati e informazioni dai social network per innescare controlli fiscali, in Italia tale utilizzo degli algoritmi non è previsto. Ciò non esclude, però, che i contenuti presenti su internet e social possano costituire delle prove sfavorevoli al contribuente nell’ambito di controlli fiscali già avviati.

 

Nella giurisprudenza, i casi più frequenti di utilizzo di informazioni social (foto, post, localizzazioni, ecc.) sono stati in cause di divorzio – per dimostrare il maggior tenore di vita di un ex coniuge rispetto al dichiarato, per ottenere un maggior assegno di mantenimento – nonché in controversie di lavoro – al fine di dimostrare lo svolgimento di un’occupazione in nero.

 

Tuttavia, il passo agli accertamenti tributari è molto breve. Con l’ordinanza n. 308/2020, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un accertamento dell’imposta di pubblicità per quattro anni, da parte di un Comune, sulla base di foto scaricate da Google Street View (applicazione collegata a Google Maps), che mostravano la presenza di un cartellone pubblicitario su un automezzo.

 

Al di là del caso specifico, occorre quindi fare attenzione a ciò che si pubblica su siti internet e social network, perché sono elementi che potrebbero essere utilizzati contro il contribuente per fondare un accertamento di evasione nei suoi confronti. In particolare, il tenore di vita, lo svolgimento di un’attività imprenditoriale o professionale abituale, la residenza di una persona fisica, il giro di affari di un’impresa, gli spazi utilizzati per lo svolgimento della propria attività, il valore di un immobile o l’esistenza di un immobile non presente in Catasto, la presenza di elementi di pregio, la pubblicazione di annunci e tariffe commerciali, sono solo alcuni degli elementi che il fisco potrebbe provare, in un accertamento, utilizzando dati tratti da siti internet, foto e video presenti sul web, contenuti pubblicati su social network.

 

Quali sono gli accorgimenti che si possono adottare?

 

In primo luogo, la privacy. E’ evidente che vi è una enorme differenza tra un’immagine postata su Facebook o Instagram con accesso riservato ai propri amici o follower, ed un’immagine postata in modo pubblico: quest’ultima – essendo accessibile a tutti – sarà a disposizione anche dei funzionari del Fisco, mentre quella privata no. E’ bene quindi che non si ostentino in modo pubblico elementi sui quali l’amministrazione finanziaria potrebbe porre la propria lente d’ingrandimento.

 

In secondo luogo, come è noto, non tutto ciò che viene postato sui social corrisponde al vero. C’è chi si registra in particolari luoghi in cui in realtà non si trova, solo per mostrarlo ai suoi contatti, oppure pubblica foto scattate da altri, modificate, e così via. In giudizio, tuttavia, occorre adottare particolari tecniche difensive: la fotografia sul web, ad esempio, secondo la Cassazione, “costituisce prova precostituita della sua conformità alle cose e ai luoghi rappresentati”, pertanto se si vuole contestare ciò che riproduce, non ci si può limitare a contestare genericamente i fatti che con essa la controparte intende provare, o la mancata “ufficialità” della foto reperita su internet, bensì occorre procedere con un formale disconoscimento della conformità a cose e luoghi rappresentati (Cass. 308/2020; Cass. 9977/2018; Cass. 8682/2008). In particolare, si è ritenuto che – in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all’art. 2712 c.c. – il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta. (Cass. 308/2020; Cass. 17526/2016).

 

Infine, come recita il testo di una simpatica canzone estiva, “la posto oggi ma è una foto di ieri”. La questione giuridica è quella della certezza della data di rilevamento della foto o dell’informazione sul sito o sul profilo del social network, che non per forza coincide col momento della sua pubblicazione e sicuramente non coincide con quello della consultazione da parte del funzionario che esegue il controllo. Per questo, il contribuente che vuole contestare l’utilizzo di questo tipo di elementi ha l’onere di contestare compiutamente l’aspetto temporale: sia sotto il profilo del momento della rappresentazione (la foto descrive una situazione di un altro anno d’imposta), sia sotto quello della sua durata (le foto rappresentano una realtà momentanea, statica – non la presenza della stessa realtà per un periodo di tempo).

 

Come si nota, anche in questo ambito una specifica competenza legale e processuale è necessaria per difendersi al meglio contro il Fisco.

 

E’ in corso una verifica fiscale nei tuoi confronti? Hai ricevuto un avviso di accertamento?

 

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